Il contributo che segue è tratto da N. Galantino La consapevolezza di sé (e degli altri)) – pubblicato su Il Sole 24 ORE domenica 10 febbraio 2019
[…] La parola “identità” indica, in prima battuta, la perfetta uguaglianza fra cose, oggetti, concetti. In filosofia, il “principio di identità”, assieme a quelli di “non contraddizione” e “terzo escluso”, costituisce la base della Logica aristotelica. E si esprime nella forma “A è A”.
Grande importanza (con qualche ingenuità non priva di equivoci), ha assunto il riferimento all’identità nell’ambito delle scienze umane.
In questo ambito è possibile incontrare infatti posizioni estreme. Si va dalla concezione statica dell’identità, intesa come sostanza o essenza immutabile, all’idea di identità come risultato di un processo narrativo nel quale è il Sé narratore a definire la propria storia, la propria vita e quindi la propria identità.
Superare questi estremismi permette agli individui di percepire la propria come l’identità di un essere-in-relazione. Identità che, proprio per questo, è caratterizzata da un costante processo dinamico, giustificato così da Montaigne: “C’è altrettanta differenza fra noi e noi stessi che fra noi e gli altri”. Non si può allora che parlare di identità aperta; che non vuol dire identità priva di punti di forza; essa è piuttosto frutto della consapevolezza che già “al nostro interno abita una confederazione di anime” (Pessoa). Una identità quindi aperta e che si nutre di relazioni. Un’identità che non ha nulla a che vedere con i drammatici arroccamenti su posizioni identitarie che escludono/chiudono, e dove l’alter (l’altro) diviene alienus (estraneo).
La percezione di avere una propria identità e l’esigenza che gli altri la riconoscano è condizione necessaria per una vita equilibrata e socialmente feconda.
L’identità aperta è la vera sfida di questi tempi. Il nostro nome è, sì, la nostra identità, ma concorrono a formarla le nostre relazioni, le nostre conoscenze, le nostre scelte, le nostre emozioni e i nostri sentimenti. È così che l’identità, più che una corazza impenetrabile nella quale è facile morire di asfissia, diviene invito costante a ricavare frutti positivi dalla diversità delle esperienze, delle aspirazioni, delle relazioni e dei sentimenti. L’identità non aperta forse può essere un porto sicuro, certamente è un luogo chiuso, dove ci si nasconde per non cogliere le sfide del molteplice e dell’alterità. Le uniche sfide che arricchiscono.