L’ANGOLO DEI CORSISTI – Il contributo di Laura Naldi

Counseling e pedagogia della presenza

All’interno della pedagogia, nel suo approccio fenomenologico in particolare, possiamo ritrovare elementi interessanti di contatto che accomunano la professione educativa a quella del counselor:

  • la relazione come aspetto costitutivo e portante della pratica del lavoro d’aiuto;
  • la dimensione dell’incertezza come pratica buona che permette di muoversi nella complessità del reale;
  • la dimensione dell’incontro come occasione per entrambe le parti coinvolte;
  • l’essere in continuo cammino.

Il metodo fenomenologico¹  si basa sull’idea che è la nostra esperienza che conferisce significato all’oggetto mondo e la conoscenza è una ricerca continua per andare oltre alle apparenze con la consapevolezza che, quanto più profonda si farà la conoscenza di qualcosa, non riusciremo mai a coglierla nella sua essenza ma ne avremo sempre una conoscenza mediata dalla nostra coscienza. Questo approccio portato alla pedagogia, parte dal presupposto dell’accettazione di un certo grado di relativismo: dal fatto che ogni definizione che si può dare all’educazione si fonda sempre su un particolare concetto di essa e non sull’educazione nella sua essenza, perché quella non sarà mai possibile coglierla completamente.  

In cosa consiste un fare educativo coerente con questo quadro teorico? Cosa significa lavorare all’interno del paradigma fenomenologico? Prima di tutto la responsabilità epistemologica, ovvero la consapevolezza che un qualsiasi quadro teoretico di riferimento in cui si sceglie di lavorare non è che una possibilità interpretativa. In secondo luogo, la capacità di rendere conto di questa scelta e delle decisioni che ne conseguono. Inoltre, vi è la capacità di praticare l’epoché, sospendere cioè un giudizio, un senso soggettivamente od oggettivamente inteso, per dare spazio a variazioni di interpretazioni, dare una possibilità ad altri punti di vista e ad altri sensi. Dopodiché vi è anche la competenza dell’entropia che si differenzia dall’empatia, e consiste nella capacità di cogliere le categorie interpretative che motivano i vissuti emotivi, le rappresentazioni del mondo e i comportamenti altrui. Infine, il senso di realtà, ovvero essere consapevoli che la realtà e il suo ordine materiale contano e fanno la differenza pur non sapendo quanto e come conteranno e faranno la differenza e ciò significa accettare l’orizzonte di incertezza come una risorsa.

All’interno di questo orizzonte teorico, vorrei concentrarmi su un aspetto di questa ottica pedagogica che particolarmente sento vicino all’approccio del counseling: la pedagogia della presenza² .

 I tratti che caratterizzano la presenza nella pratica educativa sono: l’aspetto di fare un cammino insieme (educatore ed educando), esser in un continuo esercizio di ascolto e l’accettazione di poter stare con l’altro nel cambiamento stabilendo valori e misure con cui elaborare nuove mappe. «Essere presenti sulla strada altrui induce a individualizzare il proprio agire educativo, a chiedersi e a chiedere cosa può essere più giusto e vero per quella persona e per lei sola, per quel ragazzo e per lui solo; invita a domandarsi su quando tacere o prendere posizione, intervenire o sospendere il giudizio e l’azione, ascoltare o esprimere un pensiero, ma spinge soprattutto a interrogarsi sull’essenza dei propri gesti, del proprio lavoro, di un passo compiuto, di una disposizione assunta».

Nella presenza si esplora il proprio essere in relazione, il proprio mettersi a disposizione dell’altro; esserci in modo completo e disinteressato permette di intraprendere questo cammino da parte delle figure educative con i ragazzi in un’autentica ricerca in cui non ci si lascia prendere o assorbire dai vissuti momentanei o lo scorrere degli eventi quotidiano ma si sta nella realtà con l’attenzione e la capacità  di elaborare sapere da quella esperienza.  L’educatore c’è e vive l’esserci nella relazione con tutto sé stesso: nei limiti e nelle risorse. Ciò significa saper tollerare l’incertezza e saperci stare, riconoscendosi ancora impreparati ad alcune situazioni perché si è tutti in cammino e perché possiamo accettare che ogni relazione nella sua unicità ha un elemento non prevedibile e non conoscibile anticipatamente e su cui il controllo ci sfugge e non dobbiamo avere la pretesa di poterlo ottenere. Stare in presenza vuol dire infatti anche accogliere «come terra nuda la semente e le risorse di sviluppo» . 

Chi guida è sempre in movimento, riconoscersi per via, accogliere e attraversare in prima persona e poi osservarli nell’altro: per questo il guidare e l’essere presenti sono caratteristiche fondamentali nell’azione di chi guida. Inoltre, la presenza, l’ascolto, l’accoglienza si distinguono dalla condiscendenza, permettono agli educatori di poter prendere posizione, di poter entrare in conflitto, di scontrarsi per poi incontrarsi di più e ciò è possibile nell’essere presenti a sé stessi e sviluppare così l’assertività. Quando si riesce a sviluppare a mano a mano una propria assertività, accresce anche l’autonomia, in particolare quella affettiva. Per essere una figura educativa di riferimento e permettere ai ragazzi di fidarsi e di aprirsi è buono avere un’autonomia affettiva: quello che si fa non è dipendente da un ritorno affettivo, non si fa con il timore di essere accettato; ciò potrebbe interferire come fattore di blocco nella relazione. L’accoglienza e l’accettazione dell’altro come persona con la sua unicità è possibile, in una relazione educativa, quando si investe sulle risorse energetiche, le potenzialità creative di ognuno e anche sul coltivare una capacità di agire e scegliere autonomamente dell’altro. Qui ritorna il concetto di accettazione incondizionata, non condizionata appunto da un ritorno affettivo, dalla ricerca di una soddisfazione propria, da un riempimento possibile di un vuoto. Nella presenza educativa è necessaria una lungimiranza e una fede razionale sulla possibilità di ognuno di poter raggiungere o comunque avere una tensione costante verso la propria realizzazione esistenziale. Una fiducia ottimista ma non cieca, che tenga cioè conto del senso di realtà.

Rif. alla fenomenologia dell’educazione e all’approccio fenomenologico nelle pratiche educative, L. Caronia, Fenomenologia dell’educazione, FrancoAngeli, Milano, 2011

Rif. A. Augelli, Erranze, FrancoAngeli, Milano, 2011