L’ANGOLO DEI CORSISTI – Il contributo di Laura Naldi

 

Solitudine vs Isolamento: stare soli o essere soli

 

La cura si esercita appieno quando è speculare: è cura verso gli altri ed è cura verso di sé. Si realizza sia nella capacità di ascoltare sé stessi sia nell’ascolto dell’altro permettendo che uno si realizzi attraverso l’altro e viceversa.  Ascoltare richiede tempo, una strutturazione del tempo che si apra all’intimità ovvero l’espressione autentica e reciproca dei propri pensieri, desideri e delle proprie emozioni nella modalità in cui «io non ti svaluterò e non permetterò che tu svaluti me» (il riferimento è al concetto di intimità dell’Analisi Transazionale). Nel darsi e dare ascolto diamo importanza, attenzione e doniamo così rispetto a noi e all’altro che è la condizione di chi si vede e si sente visto.

Hannah Arendt[1] definisce la capacità di ascoltarsi come un «dialogo silenzioso tra sé» e chiama ‘solitudine’ la condizione dello stare con sé stessi: «la solitudine significa che, pur da solo, io sono in compagnia di qualcuno (vale a dire di me stesso)». La solitudine si differenzia dall’isolamento perché si tratta del riuscire a stare con sé stessi anche in compagnia di un altro: stando con gli altri non si perde il contatto con sé. «Se una persona mi rivolge la parola e se cominciamo a dialogare su qualcosa che aveva occupato la mente del mio interlocutore fino a poco prima, allora posso dire che è come se mi mettessi a parlare con un altro io», in questo contatto con due Io (il mio e quello di un altro), si verifica quel rapporto di intimità citato poc’anzi. 

L’ascolto e il dialogo che passano continuamente tra l’interiore e l’esteriore, tra sé e l’altro, sono il modo più virtuoso di entrare in relazione, in un tipo di rapporto che mira alla promozione reciproca, alla crescita, all’accrescimento di benessere; la Arendt direbbe che è rivolta verso il bene. L’isolamento invece è la perdita di contatto con il proprio Io e quindi di conseguenza anche quello altrui. Accade «quando gli uomini pattinano sulla superficie degli eventi», è «occuparsi delle faccende del mondo» con gli altri ma non instaurando un contatto profondo con loro; così succede che a un certo punto possono abbandonarci e, da quel momento, non abbiamo più con chi stare, né noi né loro. Non prendendomi nessun rischio, non alimentando lo scambio tra dentro e fuori, piano piano affievolisco la mia creatività, la mia capacità di dialogare con me stesso, di stare in contatto con me: lo scambio con l’altro è un arricchimento per poi stare soli con sé. Se mi isolo per molto tempo, quello che rischio è di non bastarmi più, di «esaurire la mia banca di carezze e restarne privato»[2] .

 

1 Cfr. H. Arendt, Alcune questioni di filosofia morale, Einaudi, Torino, 2015, pp.58-62

2 Rif. al concetto di Isolamento dell’Analisi transazionale (I.Stewart – V.Joines, L’analisi transazionale, Garzanti, Milano 1990,  pp.120-121), una delle sei possibilità di strutturazione del tempo (isolamento, rituali, passatempi, attività, giochi e intimità). La strutturazione del tempo richiama alla soddisfazione del bisogno di struttura dell’uomo.